Ogni tanto nel corso di una visita mi capita di ricordare al mio paziente, e anche a me indirettamente, che senza volerlo facciamo troppe cose. La frase che regge il concetto è la seguente: “se facessimo la metà di quello che facciamo tutti i giorni, avremmo fatto comunque il doppio di quello che davvero occorre”
Perché facciamo così tante cose? Cosa ci spinge, quale è il motore?
Ho potuto notare che sotto queste forme di “iperattività compensatoria” si nasconde un’emozione molto particolare che prende il nome di gratitudine.
Quello che analizzeremo qui è però il suo contrario, cioè l’ingratitudine cui aggiungerei una parola molto descrittiva di questa importante emozione che corrisponde a “percepita”. Quindi parleremo di ingratitudine percepita, situazione probabilmente lontana da quello che realmente sta succedendo intorno a noi.
A tutti fa piacere ricevere un complimento, ci riempie di gioia sapere che qualcuno ha apprezzato il nostro agire. Quando preparo un buon piatto e osservo volti soddisfatti intorno a me, ebbene quello è un momento estatico nel quale “percepisco” la soddisfazione e l’approvazione altrui. Vivo per questo? Forse no, ma provo un immenso piacere quando vengo gratificato e sostenuto.
Siamo insicuri come bambini per tutta la vita, abbiamo sempre bisogno della pacca sulla spalla, dell’incoraggiamento di un padre o di una madre amorevoli o di un fratello maggiore.
Chi più, chi meno ovviamente, c’è sempre chi ha maggior necessità di sentirsi gratificato e appoggiato e chi al contrario sviluppa una maggior indipendenza.
Quando non riceviamo il grazie gratificativo o semplicemente pensiamo di non averlo ricevuto generiamo nuove cose da fare per ricevere altri sostegni in un meccanismo cortocircuitato che ci porta a fare sempre troppo.